L’educazione e la
formazione sono da considerare come elementi fondamentali di un approccio integrato alla mobilità. Partendo da questa premessa culturale, l’European Transport Safety Council (ETSC) ha pubblicato il report
The status of traffic safety and mobility education in Europe che per la prima volta analizza sistematicamente lo stato dell’educazione alla
sicurezza stradale e più in generale alla
mobilità nelle scuole d’Europa. Un’attività che
Fondazione Unipolis con
sicurstrada sta portando avanti nelle scuole italiane, mettendo i ragazzi al centro delle sue azioni in tema di
mobilità sostenibile e sicura.
Il punto di partenza dello studio è la firma nel 1968 – da parte della stragrande maggioranza dei Paesi europei – della
Convenzione sul traffico stradale della
United Nations Economic Commission for Europe (UNECE) (poi aggiornata nel 2006) dove, nell’articolo 3, si afferma: “Tutti i Paesi firmatari si impegnano ad adottare le misure necessarie perassicurarsi che l’educazione alla mobilità e alla sicurezza stradale sia garantita sistematicamente e continuativamente in tutti i livelli di istruzione scolastica”.
L’analisi dell’ETSC fa emergere subito che le indicazioni di questa convenzione sono largamente disattese. Infatti, mentre l’educazione alla mobilità è garantita in tutti i Paesi nelle scuole primarie (ma con diversi livelli), solo in Repubblica Ceca, Irlanda e Germania è offerta a tutti i livelli (pre-primary, primary, secondary, tertiary). L’Italia è uno dei pochi Paesi, assieme a Francia, Islanda, Norvegia e Svizzera, che prevede uno spazio preciso dedicato all’educazione alla mobilità e alla sicurezza stradale nella scuola secondaria, ma nessuno di questi Paesi ha un numero minimo di ore per questa “materia” garantito per legge. Del resto, neanche gli stessi insegnanti hanno la possibilità di formarsi, infatti solo in Polonia e Slovacchia ci sono dei corsi di aggiornamento sul tema ben strutturati per i docenti. Laddove invece questo tipo di formazione viene erogata attraverso lezioni e progetti di organizzazioni ed esperti principalmente esterni alla scuola (in totale 14 Stati), solo in Italia, Malta, Polonia, Spagna e Svezia avviene gratuitamente.
L’Ue non si occupa direttamente di normare e regolare la sicurezza di veicoli e infrastrutture. Tuttavia, il fatto che non ci siano
normative dedicate all’educazione e alla sicurezza stradale, non significa che non esistano linee comuni sul tema a livello transnazionale. In particolare, a fine 2017 la Commissione Europea ha annunciato il terzo pacchetto dedicato alla mobilità del futuro,
Europe on the move, che si focalizza su tre aspetti principali: sicurezza stradale, riduzione delle emissioni e mobilità connessa. Obiettivo delle misure è rendere la mobilità più sicura per i cittadini e più sostenibile per l’ambiente. Sono oltre 25.000 le persone che continuano a morire ogni giorno sulle strade del nostro continente e in un contesto del genere l’educazione alla sicurezza stradale e alla mobilità dovrebbe giocare un ruolo fondamentale nella sfida per rendere le strade più sicure, dove i giovani pagano ancora un prezzo in termini di vittime molto alto. Infatti, mentre per la fascia dai 40 anni in su le cause principali di morte sono malattie respiratorie o cardiache, tra i 15 e i 29 anni i decessi sono dovuti a “cause esterne”. Tra queste, secondo l’ETSC, al primo posto ci sono gli incidenti stradali, in particolare per i giovani tra i 15 e i 25 anni. I dati vengono confermati anche per l’Italia dalle ultime rilevazioni statistiche (di Aci e Istat): considerando l’età 15-24 anni, nel 2017 ci sono stati 374 morti e 45.631 feriti.
Focalizzandosi sulle fasce più giovani della popolazione, si nota che l’indice di mortalità dei bambini e dei ragazzi varia molto da Paese a Paese. L’immagine sopra mostra che la media europea è di 16 morti ogni milione di abitanti da 0 a 17 anni (dati 2014-2016), ma il numero di morti tra i ragazzi in Lettonia e in Romania è 5,5 volte superiore a quello della Norvegia.
Tra il 2006 e il 2016, il numero di morti tra i giovani europei è diminuito significativamente: 2.639 ragazzi perdevano la vita sulle strade d’Europa nel 2006, sono stati 1.128 nel 2016. Questo dato rappresenta una diminuzione del 57,3%. Parallelamente, la diminuzione è stata molto inferiore tra tutti gli altri gruppi di età (39,8%). Ma questo non basta. Nelle aree urbane il tema della mobilità è centrale per la vita stessa della comunità, ma porta con sé grandi criticità. In particolare il traffico motorizzato è percepito come il principale fattore di peggioramento della qualità della vita nelle città, oltre che la principale fonte di inquinamento dell’aria e la principale causa di mortalità per motivi accidentali. Di conseguenza è di fondamentale importanza sviluppare ulteriori misure per migliorare la sicurezza stradale che, oltre alle misure di sicurezza dei veicoli, delle infrastrutture e del traffico, rientrino in una vera e propria educazione alla mobilità, così da rendere le proprie città e comunità inclusive, sicure e sostenibili, in linea anche con quanto auspicato dagli obiettivi dell’Agenda Onu 2030 sullo Sviluppo Sostenibile.
Questo l’ha compreso l’European Transport Safety Council che, assieme a
Fundaciòn MAPFRE, e Flemish Foundation for Traffic Knowledge (VSV) ha ideato il
LEARN! Project (Leveraging, Education to Advance Road Safety Now!). Il progetto ha l’obiettivo di migliorare la
qualità dell’educazione su questi temi in Europa, il più in fretta possibile (il “Now!” parla chiaro), mettendo a disposizione una piattaforma di informazioni, strumenti, analisi di buone pratiche e ricerche – tra cui
The status of traffic safety and mobility education in Europe – dedicati a chi si occupa di educare e formare su questi temi. Un sapere certamente utile e a disposizione anche dei decisori pubblici e privati.
Il progetto LEARN! si focalizza in particolare su bambini e ragazzi, gli utenti della strada di oggi come passeggeri, pedoni e ciclisti e gli utenti di domani come guidatori di vetture o di qualsiasi altro mezzo di mobilità presente e futura. L’insegnamento migliore che questi ragazzi possono ricevere – suggerisce il team del progetto – non può che derivare dalla loro esperienza diretta sul campo: se adottano buone abitudini quando sono piccoli, da grandi diventeranno verosimilmente utenti della strada responsabili.
L’analisi dell’ETSC attraverso il progetto LEARN! si muove a partire da un approccio alla sicurezza molto più ampio, dove la mobilità è al centro della riflessione. Una mobilità sostenibile è anche una mobilità sicura ed educare alla mobilità significa anche fornire gli strumenti necessari per fare scelte consapevoli e sostenibili sul come muoversi e sul che tipo di utenti della strada si sceglie di essere. L’educazione alla mobilità è in definitiva direttamente correlata con la prospettiva più ampia della salute a della sostenibilità.
Quali sono, dunque, gli obiettivi da perseguire?
L’educazione alla sicurezza e alla mobilità comprende tutte quelle misure che hanno l’obiettivo di influenzare positivamente modelli di comportamento in tema di mobilità, con particolare enfasi su:
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Conoscere e comprendere le regole del traffico (e le possibili situazioni)
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Sviluppare e implementare le proprie competenze attraverso l’esperienza sul campo
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Migliorare e/o cambiare le proprie attitudini e motivazioni intrinseche riguardo la percezione del rischio, la sicurezza personale e degli altri utenti della strada, per contribuire allo sviluppo di una cultura orientata alla sicurezza.
Rispetto a questi obiettivi, dal report emerge che nelle scuole primarie europee i ragazzi hanno però a che fare principalmente solo con l’insegnamento delle regole del traffico, dei segnali stradali e dei principali modelli di comportamento a piedi e in bicicletta (ad es. tragitto casa-scuola, pedibus).
Nel
modello tedesco, invece, i formatori su questi temi adottano già con gli alunni della scuola primaria un approccio che va oltre gli aspetti della sicurezza, affrontando i temi della sostenibilità e dell’ambiente.
Per la scuola secondaria, un caso interessante arriva dalla
Grecia, dove è stata introdotta una settimana a tema ogni anno per i primi tre gradi di istruzione. Durante queste giornate, l’insegnante può scegliere tra quattro aspetti relativi alla salute da affrontare con i ragazzi e tra questi c’è la sicurezza stradale.
Nelle scuole secondarie di
Danimarca, Francia, Inghilterra, Galles e Scozia, il focus delle lezioni è posto sulle possibili scelte da affrontare in situazioni di emergenza, sotto pressione e ad alto livello di rischio. I ragazzi di
Cipro analizzano i dati statistici sull’incidentalità stradale e sviluppano proposte per migliorare la sicurezza dei giovani sulle strade. La mobilità sostenibile è invece predominante nei processi formativi in
Germania, anche in questo livello di istruzione, dove gli alunni partecipano a percorsi formativi sulle nuove tecnologie per la mobilità sostenibile e alternativa e sugli aspetti economici e ambientali della mobilità.
In un panorama europeo così variegato, dove gli obiettivi formativi – derivanti da diversi fabbisogni, culture e approcci sul tema – sono spesso diversi tra loro, c’è da chiedersi se si possano individuare parametri e indicatori per misurare gli effetti/outcome di questi percorsi. Il progetto Learn! sta tracciando la strada anche in questo campo e nel 2020 completerà una pubblicazione dedicata. Nel frattempo, i modelli a cui guardare sono quelli dei Paesi scandinavi. In particolare, il Norvegian Council for Road Safety nel 2017 ha pubblicato lo studio
The Norvegian Council for Road Safety’s model for behaviour modification, che presenta un modello proposto “a garanzia della qualità e per la valutazione dei programmi che intendono promuovere la sicurezza stradale”.
Secondo questo modello, qui solo accennato, singole e specifiche capacità da acquisire possono essere classificate come una combinazione di conoscenze, attitudini e abilità. Il metodo propone di analizzare i tipi di verbi attivi che possono essere utilizzati per evocare – appunto – conoscenze, attitudini e abilità e i conseguenti vari livelli di competenza raggiunti. In questo modo, ad esempio, un outcome/effetto difficilmente misurabile come: “Devi sapere come utilizzare il casco in bici correttamente”, formulato diversamente, utilizzando i verbi attivi, diventa più facilmente misurabile: “Dovresti dimostrare il corretto uso del casco in bici espiegare come protegge la testa dei ciclisti”.
In conclusione, un approccio così integrato ai percorsi di formazione può seguire il modello delle 5E (immagine sopra) teorizzato per la prima volta negli Stati Uniti dal Biological Sciences Curriculum Study (educational center) e sviluppato e riadattato dal Norvegian Centre for Science Education nel 2019. In questo modello la valutazione è al centro del processo, non come la fase finale di un percorso ma piuttosto come cardine cui guardare sempre durante tutte le fasi. Lavorando con i ragazzi questo aspetto assume un’importanza strategica, per evitare di pianificare percorsi dispendiosi (anche in termini economici), che non producono nessun effetto rilevante e rilevabile.