Cosa rende una città accessibile e sicura per i ciclisti e come promuovere l'utilizzo della bicicletta, soprattutto per gli spostamenti urbani? Sono queste le domande a cui Sviste ciclabili, la ricerca di #Salvaiciclisti, Mobilità Nuova e Legambiente, ha cercato di dare una risposta. Lo studio, presentato in occasione dell'appuntamento di #Velolove, che si è svolto recentemente a Roma, non è confortante: piste ciclabili insufficienti, incapacità per molte città di rendere “attraente"la pedalata in città, poca protezione per chi usa le due ruote.
E allora perché gli italiani non rinunciano, in alcune città soprattutto, ad inforcare la bicicletta? Per non stressarsi troppo, pare: complici l'inefficienza dei mezzi pubblici, l'assenza di parcheggi soprattutto in centro, il costo dei carburanti, le ZTL, la mancanza di tempo per fare, diversamente, dell'esercizio fisico. Insomma sembra proprio che non sia la ciclabile a fare il ciclista, ma la disperazione. E i dati supportano questa tesi: a Brescia, che vanta una vasta rete di piste per ciclisti e un servizio di bike sharing, solo il 3% dei cittadini sale in sella, mentre ad esempio Reggio Emilia o Pisa – città universitaria – per ragioni culturali e di conformazione urbana sono nella Top ten delle città bike friendly.
Non bisogna però dimenticare che l'Italia nel 2013, rispetto al 2012, ha prodotto il 22% di bici in più, con il dato sorprendente della vendita di 51.405 e-bike (le bici a pedalata assistita). E mentre il mercato delle due ruote fiorisce, quello delle automobili fa segnalare una flessione: se nel 2009 si vendevano 2,16 milioni di auto nuove per un totale di 34,8 miliardi di euro, oggi, a distanza di 5 anni, il fatturato si attesta intorno ai 23,6 miliardi. Con una perdita del 39,6%. Insomma gli italiani, quantomeno, la bicicletta la comprano.
E allora quali sono gli interventi che potrebbero agevolarne e promuoverne l'utilizzo in città? Sicuramente la creazione di infrastrutture adeguate, l'introduzione del limite di velocità, in alcune zone, a 30 km l'ora, l'aumento delle tariffe per i parcheggi auto in centro e lo sviluppo di servizi innovativi e smart come il bike sharing. Ne abbiamo parlato con i rappresentanti delle due principali società italiane, che gestiscono il “prestito" di biciclette a Milano, Roma e Parigi.
- Sergio Verrecchia, Contracts Management & Development Director di Clear Channel, ci spiega quali sono a suo avviso gli elementi urbani che favoriscono l'utilizzo della bicicletta in generale e del bike sharing in particolare.
“Sicuramente la conformazione morfologica pianeggiante e l'esistenza di ampi spazi all'interno del centro cittadino sono fattori vincenti per lo sviluppo della mobilità dolce, pensiamo ad esempio a Barcellona e Parigi. Non dobbiamo però dimenticare che in realtà in cui questi fattori non ci sono, come in molte città italiane che presentano pendenze rilevanti e centri storici più articolati, non è detto che non si possa realizzare un sistema di bike sharing di successo attraverso l'uso di mezzi elettrici ed infrastrutture adeguate."
- E quali sono a Milano, città in cui è presente la sua società, i punti di forza e di debolezza in relazione al bike sharing?
“Intanto una grande richiesta di mobilità ciclabile legata soprattutto alle attività produttive, poi Milano è una città pianeggiante e con clima piacevole per la maggior parte dell'anno, ideale quindi per muoversi con le due ruote. La scarsità di piste ciclabili, il pavè e i binari del tram a volte possono rendere difficile l'uso della bici. Non possiamo non tenere presente però che, quando il sistema è partito nel 2008, pochissimi credevano che, in una città autocentrica come il capoluogo meneghino, il bike sharing avrebbe potuto affermarsi, ma si sbagliavano. La chiave del successo sta nella gestione del sistema da parte di un'azienda privata che come contropartita ha potuto sviluppare il suo business, in questo caso la pubblicità. Questo espediente fa sì che il sistema si ripaghi e riesca a mantenere un alto livello di qualità che altrimenti, dai soli introiti degli abbonamenti, sarebbe impossibile garantire. Inoltre sono state fondamentali le iniziative sulla regolazione del traffico operate dal Comune, come l'introduzione dell'area C."
- Chi sono i maggiori utilizzatori del bike sharing?
“L'utente medio del Bike sharing di Milano è un uomo di età media di 40 anni, impiegato o libero professionista, che risiede in città o in Provincia."
Sullo stesso argomento abbiamo chiesto un parere anche ad Andrea Rustioni, Direttore Patrimonio e Sviluppo di IGPDecaux
- Quali sono gli elementi che favoriscono l'utilizzo del bike sharing in città?
“Occorre prima di tutto che si parli di un livello qualitativo elevato di bici, stazioni, processi manutentivi e strumenti informatici a supporto del progetto. Subito dopo senz'altro un livello efficiente di servizio, che significa una buona distribuzione sul territorio delle stazioni di prelievo/rilascio, un sistema di regolazione efficace che permetta ad ogni utente di usufruire del servizio sia in fase di prelievo (trovando le biciclette in stazione) che in fase di rilascio (trovando il posto per la riconsegna a fine utilizzo) e procedure semplificate per l'accesso agli abbonamenti non solo da parte dei residenti ma anche di coloro che necessitano di utilizzi di breve durata come ad esempio i turisti."
- Per alcune città l'utilizzo della bicicletta è ormai entrato a far parte della cultura e del background cittadino (arrivando ad essere considerato cool): quali interventi possono essere messi in campo per far sì che anche altri centri urbani possano considerarli una reale mobilità alternativa?
“Occorre pensare e programmare a lungo termine. Diverse esperienze, soprattutto italiane, insegnano che il bike sharing è stato considerato più per “tagliare il nastro" al momento dell'inaugurazione che come strumento di mobilità alternativa al servizio della collettività. Pensare di dotare una città di un sistema bike sharing stabile ed efficiente nel tempo significa non solo programmare alcuni interventi infrastrutturali fondamentali (come le piste ciclabili) ma anche dimensionare il livello di servizio (numero di stazioni e di bici) partendo da un lato dagli obiettivi desiderati in termine di gestione della mobilità e dall'altro dalla previsione puntuale dei costi che tale servizio comporterà nel tempo, ed in questo senso appare cruciale la scelta del modello di finanziamento a) diretto da parte della pubblica amministrazione, b) meccanismo misto – fondi pubblici + sponsor, c) totalmente finanziato dalla pubblicità."
- Quali sono le maggiori differenze fra la visione italiana e quella di altri paesi europei, come ad esempio la Francia e in particolare Parigi, in cui il servizio di bike sharing è appannaggio di IGPDecaux?
“La differenza fondamentale è la scelta del modello da adottare per finanziare il servizio. Assodato che, certamente in Italia, il modello basato sul finanziamento pubblico non può rappresentare un'alternativa possibile, rimangono il finanziamento misto (sponsor e fondi pubblici) e quello finanziato dalla pubblicità (“modello Parigi"). Il modello basato sulla sponsorship si mostra debole nel medio-lungo periodo: infatti dopo gli entusiasmi dovuti alla novità, città anche molto importanti stanno avendo grandi difficoltà sia a confermare la sponsorizzazione dopo la prima fase che a trovare uno sponsor pronto a fare da secondo coprendo gli stessi costi sostenuti da chi l'ha preceduto. Il modello basato interamente sulla pubblicità, invece, comporta un totale trasferimento del rischio in capo all'azienda pubblicitaria, che garantisce stabilità e qualità nel tempo rispetto alle prestazioni offerte. In sostanza la concessionaria si lega in modo indissolubile con la città attraverso un meccanismo virtuoso di cui i cittadini risultano essere i primi beneficiari. Tutto questo risulta possibile solo attraverso una programmazione sul lungo termine della pubblicità in città, anche attraverso meno impianti, e quindi maggior decoro. Questa è la grande differenza tra Parigi (o altre realtà internazionali) e l'approccio spesso seguito in Italia, dove il bike sharing non nasce da una puntuale programmazione ma da esigenze spesso politiche."
- Da entrambi volevamo infine un commento riguardante la proposta di legge, presentata dall'associazione Rete Mobilità Nuova, da incardinare nel DDL di riforma del Codice della Strada che ha fra i punti proposti la creazione del fondo “Sviluppo del trasporto pubblico locale e della Mobilità non Motorizzata" a cui lo Stato annualmente dovrebbe destinare il 75% dei fondi complessivi destinati al trasporto e alle infrastrutture per la mobilità.
Sergio Verrecchia ci dice che la proposta è “sicuramente fondamentale per adeguare la legislazione italiano alle nuove tecnologie di mobilità sostenibile come, appunto, il bike sharing, che non è ancora riconosciuto come un servizio di utilità pubblica. I fondi destinati alla mobilità dovrebbero essere messi a disposizione di quella motorizzata e non, valutando le esigenze nei trasporti di ogni realtà cittadina. Non dimentichiamo che un servizio come il bike sharing è complementare ad altri mezzi pubblici e si integra perfettamente ad essi, se localizzato e gestito nel modo giusto."
Il parere di Andrea Rustioni è che“tutto ciò che porta le amministrazioni a pensare ad uno sviluppo della mobilità alternativa deve essere accolto ed analizzato con grande attenzione. E' però necessario che i progetti legati a questo tema siano programmati in coerenza con gli obiettivi che le amministrazioni si pongono nel lungo termine."