Andatura lenta, a piedi, a cavallo o in bici per riscoprire paesaggi spesso lontani dai classici itinerari turistici, attraverso una mobilità dolce, alternativa e più sostenibile.
Fino a poco tempo fa relegata in una nicchia, la mobilità sostenibile è ormai un concetto noto ai più. Il discorso cambia invece radicalmente per una sua variante, ancora oggi poco conosciuta al grande pubblico. Si tratta della mobilità dolce, intesa come la scelta di privilegiare percorsi distanti dalle grandi reti di comunicazione, per abbandonarsi ad una andatura lenta, a piedi, a cavallo o in bici, e assaporare paesaggi ricchi di natura, cultura e memoria.
Tra i promotori di questa filosofia, in Italia spicca l'operato di CO.MO.DO, la Confederazione della Mobilità Dolce, attiva dal 2006 e distintasi, ad esempio, per l'organizzazione della Giornata Nazionale delle Ferrovie Dimenticate. L'appuntamento, giunto nel 2015 all'ottava edizione viene promosso ogni 8 marzo per favorire la riscoperta di itinerari che corrono lungo migliaia di km di strade ferrate in disuso nel nostro Paese. Centinaia di appassionati si ritrovano ogni anno per percorrerne un tratto, su antichi treni a vapore, o con altre soluzioni di mobilità rigorosamente slow. Gli itinerari toccano depositi e stazioni abbandonate, gallerie e ponti non più utilizzati, ma anche e soprattutto territori altrimenti sconosciuti ai più. Luoghi spesso distanti dai circuiti turistici più battuti, ma che hanno comunque fascino da vendere e tanto da raccontare a chi abbia voglia di andare oltre le solite mete.
La Giornata delle ferrovie abbandonate rappresenta il momento per dare la massima visibilità al potenziale attrattivo di queste realtà, e come facilmente intuibile è solo l'apice di una più ampia attività che CO.MO.DO conduce, assieme a tanti altri soggetti, per sensibilizzare sulle tematiche della mobilità dolce. E qualcosa, a dire il vero, comincia a muoversi. L'interesse degli italiani per questa nuova e al tempo stesso antica filosofia di viaggio è infatti in aumento. Lo dimostrano la crescita delle iniziative e dei progetti dedicati a questi temi, così come le offerte di turismo sostenibile che si snodano lungo cammini e altri percorsi slow. Resta però che non si riesce ad andare oltre le dimensioni di nicchia, e l'impressione è che ciò non dipenda tanto dal disinteresse del grande pubblico, quanto da una incapacità di fare sistema e creare le condizioni per garantire una offerta adeguata ai grandi numeri.
A Pietrarsa, nei recentissimi Stati Generali del turismo sostenibile si è parlato di tutto questo: mobilità dolce e turismo slow, di grandi cammini, che uniscono turismo lento, cultura e religione. Come ha sottolineato Dario Franceschini, Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo: “E' importante puntare sulle linee ferroviarie anche minori, sulla grande ciclabile Venezia-Torino, sul sistema della ricettività diffusa, con la quale si potrebbero ripopolare tutti gli Appennini. Se si fa sistema, si possono fare passi straordinari".
Tuttavia, se un disegno di legge per la promozione della mobilità dolce presentato a settembre 2013 è ancora in corso di esame in Commissione ambiente della Camera, qualcosa vorrà pur dire. E la cosa sorprende non poco se si pensa che in altri Paesi sono stati realizzati progetti che fanno parlare di sé ovunque, attraendo visitatori da tutto il mondo. Evitando di soffermarsi più di tanto sull'eccezionalità del Cammino di Santiago, che pur essendo intrinsecamente legato al concetto di mobilità dolce trascende di gran lunga questa sola dimensione, non si può non citare la High Line di New York. Il parco, costruito su una sezione in disuso della ferrovia sopraelevata West Side Line nella parte occidentale di Manhattan, si è affermato nel giro di appena 5 anni come una della principali attrazioni della Grande Mela. A detta dell'associazione che ne ha promosso la realizzazione, già oggi conterebbe un numero di visitatori superiore a quelli della Statua della Libertà. Vero o falso che sia, resta che nel 2014 circa 5 milioni di persone hanno percorso i 2 kilometri e mezzo che seguono il tracciato della vecchia ferrovia, ammirando giardini, installazioni artistiche e soprattutto la città da un'insolita visuale, e contribuendo al rilancio di un quartiere molto prospero nei primi anni del secolo scorso, perché era lì che si concentravano le industrie addette alla lavorazione delle carni, ma poi vittima di un inevitabile declino con la progressiva chiusura degli stabilimenti.
Si potrebbe obiettare che è facile promuovere iniziative del genere in una capitale mondiale del turismo come New York, e che comunque gli americani arrivano sempre molto prima di noi europei. Basta però un minimo di approfondimento per scoprire che la High Line è stata realizzata sul modello Promenade Plantée parigina, anch'essa costruita su un tracciato ferroviario abbandonato e aperta con successo nel 1993, e che sono tanti e diversi i progetti già realizzati o in corso di realizzazione, in tutto il mondo, per promuovere nuove forme di turismo sostenibile legate alla riscoperta delle vecchie strade ferrate. Uscendo dai soli confini urbani, ma rimanendo almeno in partenza nella capitale francese, si può fare riferimento ancora alla Avenue Verte, conosciuta anche come Greenway e non casualmente, essendo stata progettata per unire Parigi e Londra. Inaugurata parzialmente in occasione delle Olimpiadi londinesi, la via è rivolta agli escursionisti, ai ciclisti e in alcuni punti anche agli amanti dell'equitazione. Nei tratti già aperti al pubblico, segue in parte i tracciati di alcune ferrovie abbandonate. Tra queste la vecchia tratta Parigi-Dieppe e il percorso londinese della Northern Outfall Sewer.
Sempre a Londra, lo scorso anno fu allestita una mostra dedicata al viaggio compiuto dagli artisti Ivan Puig e Andrés Padilla Domene lungo circa 9.000 kilometri di ferrovie dismesse, a partire dalla metà degli anni '90, nella tratta che da Città del Messico arrivava alla costa atlantica del Paese centramericano. A bordo del SEFT-1, bizzarro incrocio retro-futuristico tra un vagone e una navicella spaziale, i due hanno attraversato villaggi, deserti e zone di montagna e raccontato con parole e immagini le storie delle popolazioni locali. Il loro viaggio è stato una sorta di invito simbolico a riflettere sul destino di oblio che incombe sulle terre penalizzate dalla chiusura delle grandi vie di comunicazione. Non paghi, Puig e Padille Domene hanno realizzato un progetto gemello in Ecuador, anch'esso oggetto di attenzione durante la mostra londinese.